Dopo quelli dedicati a giustizia e misericordia e a lavoro e povertà, ancora un contributo in vista dell’appuntamento del 22 ottobre, quando saranno con noi Marco Tarquinio (direttore del quotidiano Avvenire) e Rita Visini (Assessore alle Politiche Sociali della Regione Lazio).
Uno dei temi che affronteremo nel corso del pomeriggio alla chiesa di Sant’Egidio al Corso sarà certo quello della famiglia, un ambito cruciale non solo per i cristiani, ma per la definizione di una comune antropologia umana.
Ci aiutano a riflettere su questo versante (che tocca anche aspetti di quella “emergenza educativa” più volte sottolineata da papa Benedetto XVI) Stefano Aviani e Letizia Perugini, sposi da lunghi anni impegnati nell’opera del Centro di Aiuto alla Vita e del Movimento per la Vita.
Il dono rubato
“Io voglio una famiglia dove c’è qualcuno che ti aspetta ed è lì per te, voglio qualcuno di cui non devi avere paura che un giorno ti lasci sola, voglio la sicurezza che i miei figli non siano abbandonati e che saranno sempre amati”. Così una ragazza di 17 anni, famiglia divisa e nessun particolare percorso ecclesiale. Un lavoro svolto a scuola che diventa una contestazione forte, la rappresentazione di un desiderio insopprimibile e la denuncia di una solitudine che accomuna tanti ragazzi cui troppo spesso si chiede di farsene una ragione, magari con l’aiuto dello psicologo. C’è un buco nel cuore dei giovani che nasce da dentro la vita degli adulti ed è ignorato dalle istituzioni e dai media. Non si creda però che riguardi solo loro: è la ferita di un’intera società che sembra aver smarrito il senso della propria responsabilità educativa e vede nei giovani non una speranza, ma un problema. Una civiltà che, schiacciata sul presente, sembra quasi priva di ricordi e di sogni, senza più un presentimento del futuro. Un filo si è spezzato…
La famiglia è l’esperienza umana fondamentale che ha consentito l’esistenza stessa dell’uomo. La storia del mondo è storia di famiglie. Tutte le culture hanno riconosciuto nell’unione di un uomo con una donna la relazione fondamentale che sostiene la società e la rinnova. Da un lato il prosieguo della specie, la protezione dei piccoli; dall’altra la necessità di un’alleanza tra i mondi complementari e misteriosi della donna e dell’uomo, percepita come ricca di risonanze simboliche e corrispondenze anche nel mondo naturale. Per questo, in tutte le civiltà, il legame nuziale ha avuto essenzialmente carattere sacro. Noi siamo forse la prima (o la seconda) generazione che crede di poterne prescindere. Anni fa il periodico tedesco Der Spiegel metteva in copertina il volto triste di un bambino figlio-unico col titolo: “Ognuno per sé”. Questo per dire che la crisi del modello tradizionale di famiglia aveva dato luogo a una società egoista, di figli unici e persone sole. Tra le cause, individuava la storica “battaglia contro la famiglia borghese” degli anni 60-70 (e Der Spiegel è un periodico di sinistra) dalla quale era scaturito un “codice culturale” che svaluta il valore della maternità e che da allora non è più cambiato. Le conseguenze non sono solo di carattere pratico e privato, toccano aspetti ben più ampi e complessi come la percezione che la collettività ha del proprio destino, dunque la visione del futuro e la speranza.
Per capire ciò che ne è seguito si deve guardare alla società nel suo insieme, al nesso che sussiste tra aspetti culturali, sociali ed economici. La liquefazione delle identità e dei ruoli parentali si accompagna a un processo similare che investe il lavoro e i ruoli sociali. La famiglia è fatalmente aggredita perché, in quanto legame stabile (maschio e femmina, giovane e anziano, singolo e comunità) fa ostacolo all’incessante richiesta di flessibilità che i cambiamenti economici esigono. Inoltre, in quanto luogo della gratuità, contraddice un’aziendalizzazione invasiva anche delle relazioni umane. Il mutamento antropologico si impone per molte ragioni, servono strumenti culturali adeguati per giudicarlo. Accogliamo tutto fatalisticamente. Isoliamo i problemi. Eppure, mai come oggi appare chiaro che la spinta verso un concetto fluido di famiglia è dentro al processo di precarizzazione che investe tutti gli ambiti dell’esistenza. In Amoris Laetitia, papa Francesco identifica in “ritmo della vita attuale” e “organizzazione sociale e lavorativa” ulteriori “fattori culturali che mettono a rischio la possibilità di scelte permanenti”. Quanti ragazzi non si sposano per una condizione lavorativa precaria o perché il cumulo dei redditi li espone ad una tassazione ingiusta? Eppure la tutela della famiglia e della maternità sono materia costituzionale. Francesco riconosce anche il “crescente pericolo rappresentato da un individualismo esasperato che snatura i legami familiari”; non sembri un richiamo peregrino: snaturare i legami familiari, a sua volta, apre varchi all’individualismo e alla mercificazione dell’umano (si pensi al mercato dei gameti, all’utero in affitto…).
Vi sono ricerche che dicono che il 30-40% dei nostri giovani non vivrà l’esperienza d’essere madre o padre. Questo è un “mutamento” o una “ferita”? Eppure, non c’è corso di educazione sessuale o ai sentimenti che non insista unicamente sui rischi della maternità. Nella società di oggi la maternità non è un dono, ma il pericolo da evitare. Guai però a mettere in discussione la società, meglio mettere in discussione la maternità… Luce verde, inoltre, ai corsi scolastici che intendono smontare i cosiddetti “stereotipi di genere” fin dalla più tenera età. Anche le sicurezze elementari dei bambini sembrano diventate un pericolo. Avremo molti adulti fragili. Ai bambini occorrono dei punti fermi, devono poter costruire un percorso fidando su qualche basilare certezza. Hanno diritto a conoscere ciò che sono, il dono che hanno ricevuto. Essere uomo o donna è un dono che non va rubato ai ragazzi.
Le pretese di decostruire e ricostruire la realtà si applicano ora (con pressioni culturali e interventi legislativi) all’esperienza umana fondamentale, l’unica in grado di tenere insieme l’uomo con la donna. Francesco parla di “colonizzazioni ideologiche che distruggono”. Eppure l’attenzione dei media è tutta per le “nuove famiglie”, le “coppie-di-fatto”, i “matrimoni gay”… gli unici temi che rianimano talora il dibattito politico e che hanno meritato dal filosofo marxista Diego Fusaro la caustica definizione di “armi di distrazione di massa”. Si coglie tuttavia, da questo incedere, tutta la profondità di un disagio umano (che si pretende di risolvere per decreto) e di una solitudine cui la crisi della società dei consumi non riesce più ad offrire il palliativo del wellness a buon mercato. Ciò che si fatica ad ammettere è che la famiglia non è, nella sua essenza, una costruzione sociale, ma la risposta ad un desiderio profondo del cuore di completamento, di fecondità, di per-sempre. Lo si può reprimere o sviare in tanti modi, ma poi fatalmente riemerge… Diamo a questo desiderio profondo una voce più forte!
Stefano Aviani e Letizia Perugini